Foundation: da Apple TV una serie che convince a metà
Asimov, gli sceneggiatori e la “violenza degli incapaci”
“Il ciclo della Fondazione” di Isaac Asimov rimaneva l’ultimo ciclo dei grandi della letteratura fantastica a non essere stato ancora trasposto per il cinema e la televisione. A colmare questa lacuna arriva “Foundation” di Apple TV+ con una prima stagione di 10 episodi. Serie ad alto budget, accompagnata da un discreto successo e di cui sono in corso le riprese della seconda stagione.
Ma questa “Foundation” televisiva resta drammaticamente irrisolta: da un lato la parte non ispirata ad Asimov, assolutamente superlativa. Dall’altro l’adattamento vero e proprio che riduce i grandi spunti del ciclo asimoviano in una serie action di cui dell’originale restano i nomi e pochi punti fermi.
Anche la famosa citazione di Asimov, «la violenza è l’ultimo rifugio degli incapaci», pronunciata da uno dei protagonisti del ciclo della Fondazione, Salvor Hardin, nel telefilm, suona più come quella battuta “violenza: se non funziona è perché non ne stai usando abbastanza”.
Il ciclo della Fondazione, un’opera complessa
Uno dei motivi per cui il cinema e la televisione si erano tenuti lontani da ciclo della “Fondazione” è la struttura temporale dell’opera: si racconta una vicenda lunga secoli, di cui Asimov, ci racconta solo alcuni brevi segmenti. D’altronde il ciclo nasce proprio come raccolta di racconti pubblicati tra il 1942 e il 1944, poi riuniti in un primo romanzo Fondazione nel 1951. Seguono Fondazione e Impero, 1952, e Seconda Fondazione, 1953. Nel 1966 la trilogia ottiene il Premio Hugo come “miglior serie di tutti tempi”. Negli anni’80 Asimov realizza una coppia di sequel ed una coppia di prequel per collegarla al Ciclo dei Robot.
L’ispirazione per il ciclo era arrivata ad Asimov dopo aver letto “Declino e caduta dell’Impero Romano” di Edward Gibbon, un classico della storiografia settecentesca.
La Psicostoria, premessa del ciclo della Fondazione
Per Edward Gibbon e gli storici le tendenze che avrebbero portato alla dissoluzione dell’Impero Romano erano visibili solo a posteriori. Nessun uomo del tempo sarebbe stato capace di accorgersene. Non così per la fine dell’impero galattico tratteggiata da Asimov: uno scienziato, Hari Seldon, padroneggiando matematica, statistica e sociologia delle masse si rende conto grazie alla disciplina della Psicostoria che l’impero galattico, dopo millenni di prosperità è prossimo alla caduta. Il principio di una caduta che impiegherà secoli e di cui l’impero stesso non si è ancora avveduto. Per salvare il salvabile Seldon crea la fondazione scientifica del titolo su un pianeta ai margini della galassia.
La serie Foundation di Apple TV+ si basa sui primi due “racconti” del primo volume, “Fondazione”, con alcuni elementi di “Preludio alla Fondazione”, il prequel del 1988. Ma nonostante la dicitura “Basato sui romanzi…” che i titoli di testa recitano, e che una delle figlie dell’autore sia tra i produttori (per le royalties), Asimov resta purtroppo solo un pretesto.
I tre Imperatori, un grande momento della fantascienza
“Foundation” funziona solo là dove gli sceneggiatori hanno creato liberamente. L’elemento più interessante della serie Foundation è la dinastia imperiale dei cloni. Idea assolutamente originale non presente nel ciclo asimoviano che diventa un grande spunto di fantascienza
L’Impero galattico è retto da una dinastia di cloni: dieci generazioni prima l’imperatore Cleon decise di farsi clonare e succedere a sé stesso. Sul trono tre imperatori: Fratello Giorno, il clone nel fiore degli anni, Fratello Tramonto, l’anziano, e Fratello Alba, il clone giovane. Alla morte del clone più vecchio, nasce un nuovo clone e segue un passaggio di consegne tra Fratello Alba, arrivato alla maturità che diventa il nuovo giorno, e il Fratello Giorno che diventerà il nuovo Fratello Tramonto.
“Foundation” approfondisce questa routine imperiale, intessendola su spunti visivi assolutamente di classe come l’affresco art decò che racconta la gloria dell’impero o il pellegrinaggio di Fratello Giorno.
L’idea di un impero retto da cloni dell’imperatore è inoltre spunto ulteriore per quell’immobilismo e inevitabile sclerotizzazione che sono tra le cause del futuro collasso imperiale, in linea con Asimov.
Pure gli sceneggiatori amplificano queste tendenze, nell’originale comprese solo da Seldon e dagli psicostorici, aggiungendo un attentato stile 11 settembre e guerre ai confini dell’impero.
Ma sottigliezze a parte le vite degli imperatori tra nuove sfide e recriminazioni sulle azioni passate appassionano. E quasi si riesce a perdonare persino il fatto che Demerzel, l’ultimo robot del ciclo asimoviano, oltre a essere consigliere, balia, badante e tutrice degli imperatori diventi anche “assassina di corte” in sfregio alle tre leggi della robotica di Asimov.
La parte migliore di “Foundation” è quindi paradossalmente quella non ispirata ad Asimov
Non traditional casting
Prima di entrare nelle vicende degli altri protagonisti di Foundation c’è da fare una doverosa premessa. A differenza di altri grandi della letteratura fantastica ad Asimov interessano le interazioni tra i personaggi, i dialoghi, i rumori della realtà in cui vivono. Le descrizioni del loro aspetto sono assolutamente minimali: di Hari Seldon sappiamo solo che è calvo e ha gli occhi azzurri. Di Gal Dornick assolutamente nulla!
È ovvio che nell’adattare un libro di Asimov non si presentano quelle “considerazioni” legate al fatto che l’autore ha descritto minuziosamente ambienti e personaggi (qualcuno ha detto Tolkien?).
Dei personaggi di Asimov sappiamo il genere solo per i pronomi utilizzati. Quindi Asimov si pone come uno scrittore assolutamente trasparente in caso di “color blind casting” o “gender neutral casting”. Ben vengano quindi accanto a un Hari Seldon canonico interpretato da Jared Harris, grande attore visto in “The Terror”, 2018, e “Chernobyl”, 2019, Demerzel, Gaal Dornick e Salvor Hardin tutte al femminile.
Il problema è come si risolvono le storie di queste donne. Soprattutto per Hardin, anziché la vittoria dell’intelligenza e della sagacia abbiamo una trama tutta incentrata sull'”azione” arrivando anche a ribaltare il principio stesso della Fondazione originale.
Gal Dornick, genio della matematica tra scienza e fondamentalismo
Il cast della serie, in sensoorario da sinistra: Laura Birn (Demerzel), Leah Harvey (Salvor Hardin), Lee Pace (Fratello Giorno, l’imperatore nel fiore degli anni), Lou Llobell (Gaal Dornick), al centro Jared Harris (Hari Seldon)
Ma anche la storia di Gaal Dornick ideata per la serie televisiva diventa una saturazione di cliché.
Nel romanzo Dornick è solo un brillante giovane matematico al conseguimento del dottorato viene convocato su Trantor, il centro dell’Universo e dell’Impero da Hari Seldon, e diventa il testimone dei “magheggi” per creare la prima Fondazione e diventarne la guida dopo Seldon. La solita storia del ragazzo di provincia arrivato in città che diventa testimone di un grande momento della storia.
Giusto dare spessore alla Dornick televisiva, ma il rischio è di strafar. Gaal Dornick viene da Synnax (pianeta di cui Asimov si limita a citare il nome), che scopriamo essere un pianeta acquatico dove vige una religione assolutamente antitecnologica e reazionaria. La protagonista è combattuta tra la vocazione sacerdotale per la religione locale e la matematica. Religione che ha anche la colpa di negare l’aumento del livello degli oceani!
Si ammicca a una riflessione sul contemporaneo, ma allo stesso tempo ci si contraddice: su Trantor, il pianeta capitale imperiale, i sacerdoti di questa religione oscurantista sono tenuti in grande considerazione, e l’imperatore Fratello Tramonto andrà a consulto nel loro tempio!
Fondamentalismo, matematica e dramma elisabettiano?
Ovviamente Dornick alla fine sceglierà la matematica. E i cliché continueranno con la love story piena di incomprensioni degne di una tragedia shakesperiana! Gaal Dornick s’innamora ricambiata di Raych, figlio adottivo di Seldon. Seguono incomprensioni e drammi perché Gaal non è a conoscenza di tutti i dettagli del complicatissimo piano di Hari Seldon. Il principio è comunque lo stesso dei libri ed il principio stesso alla base della psicostoria: si basa sul comportamento delle masse, lo stesso Hari Seldon di Asimov “nasconderà” alcuni elementi alla Fondazione da lui fondata. Ma in “Foundation” il complotto si ingarbuglia anche di più.
Come reagisce Dornick, scienziata, l’unica in grado di maneggiare la psicostoria come Seldon, di fronte alla scoperta dei veri piani? Una Dornick che nella sua storia precedente dibattuta tra matematica e fondamentalismo religioso ha saputo comportarsi anche in maniera spietata e controllata? Come una ragazzina isterica, non rendendo certo un buon servizio a una scrittura di un personaggio femminile, che al di là dei troppi ammiccamenti al contemporaneo statunitense, poteva dare vita a una figura estremamente interessante
Salvor Hardin, “sta mano po esse ferro e po esse piuma”
Per Salvor Hardin le cose vanno anche peggio. Nel romanzo è il sindaco di Terminus, il pianeta su cui si sono insediati gli scienziati dediti al compito di scrivere l’Enciclopedia Galattica.
Burocrate che manda avanti la baracca, con buon senso e pragmatismo. Alla prima “crisi” che subisce la Fondazione, ovvero la prima minaccia all’esistenza di quell’avamposto scientifico e tecnologico, Hardin risolve la situazione con astuzia e pragmatismo. Anacreon è un pianeta ribelle che non riconosce più l’Impero galattico e mira di far diventare Terminus una colonia agricola. Gli scienziati sperano che l’impero, grazie al suo emissario Lord Dorwin, possa sventare la minaccia. Ma sarà solo l’azione diplomatico-commerciale di Hardin a porre fine alla minaccia.
Oltretutto con un sottotesto politico di grande interesse: Lord Dorwin fa grandi proclami e propone trattati. Sarà Hardin a capire che Darwin non ha preso nessun impegno, ma ha solo parlato “diplomatichese”. E Dorwin rappresenta la quintessenza del decadimento imperiale.
Una eccezionale riflessione sulla politica che nella “Foundation” televisiva scompare.
L’Hardin sindaco del libro diventa nella serie televisiva la Guardiana: l’unico abitante di Terminus che maneggia le armi! E nonostante venga citato il detto “la violenza è l’ultimo rifugio degli incapaci”, la crisi con Anacreon viene risolta a mani nude, armi bianche, armi da fuoco, e la lotta per disporre di una potentissima nave spaziale da guerra, la Invictus. Insomma anziché sfruttare l’originale per creare un personaggio femminile che usa il cervello, qui abbiamo il “classico” protagonista muscolare della prima metà degli anni ’90.
Da Asimov a Punto di non ritorno di Paul W.S. Anderson
Gli ultimi episodi anticipano il tema della terzo racconto della Fondazione, in cui c’è il relitto di una vecchia nave spaziale da guerra da rimettere in sesto. Ma se nel libro si tratta di un pretesto, nuovamente per dimostrare che la violenza è l’ultimo rifugio degli incapaci, nella serie TV diventa una sorta di omaggio all’horror di fantascienza Punto di non ritorno, di Paul W.S. Anderson, 1997. Classico lontanissimo da Asimov: nel film la prima astronave attrezzata per compiere salti nell’iperspazio con un buco nero artificiale, entra in contatto con una dimensione infernale diventando una nave fantasma infestata. In Foundation troviamo la Invictus, la più grande nave da guerra imperiale mai costruita, diventata nave fantasma saltando nell’iperspazio.
Hari Seldon, chi mena pe’ pprimo mena du’ vorte
La conclusione di “Foundation” diventa così solo apparentemente la stessa della prima parte del libro. Ma se in Asimov il messaggio di Seldon (e Hardin) è usare le conoscenze scientifiche e tecnologiche per controllare i pianeti ribelli e barbari ai confini della galassia… In “Foundation” scopriamo che il piano di Seldon è sempre stato quello di impossessarsi di navi da battaglia per sconfiggere l’Impero.
Un totale cambio di paradigma del ciclo asimoviano, che di volta in volta vede la Fondazione trionfare grazie alla scienza, alla religione, al commercio, ma mai nel confronto militare diretto. Un cambio di paradigma che rende persino meno gravi le aperte violazioni delle tre leggi della robotica da parte di Demerzel.
Insomma pur se “Foundation” ha una buona qualità complessiva e una storyline fantastica (quella dei tre imperatori), l’adattamento resta una delle trasposizioni più lontane dall’originale che il cinema e la televisione ricordino. Pertanto, offrire un voto è un’operazione pittosto soggettiva…
Saggista e divulgatore, pare alla fine degli anni ’90 frequentasse fanzine e desse vita a cineforum dedicati all’animazione nipponica. Si diletta di animazione nipponica e gioco da tavolo con un occhio alla fantascienza televisiva e cinematografica.
Alessandro
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